Auto elettriche come telefonini

04/09/2008 - Nicola Ventura

    NEW YORK — «Volt», l’auto che dovrebbe fare l’«elettroshock» a una General Motors ormai a rischio di estinzione, arriverà sul mercato nel 2010. I problemi tecnici da risolvere per dare alla vettura elettrica affidabilità e buona autonomia sono ancora molti, ma il gruppo di Detroit ha già fissato la data del lancio, bisognoso com’è di dimostrare che è capace di costruire auto diverse dai veicoli a benzina. Le incognite, però, rimangono visto, tra l’altro, che già anni fa la GM lanciò la EV1, una pionieristica auto elettrica che, dopo un po’, fu abbandonata. Oltre all’autonomia delle batterie, il problema è l’assenza di una rete di stazioni di ricarica. Lo è anche per i californiani della Tesla Motors che hanno già cominciato a vendere dei «bolidi» a propulsione elettrica che hanno il fascino delle «supercar» sportive e piacciono molto ai manager della «Silicon Valley». Ma, anch’esse con un’autonomia di poche decine di miglia.

    La svolta, almeno dal punto di vista della rete di distribuzione, potrebbe venire dal progetto di Shai Agassi, «visionario» imprenditore israeliano cresciuto nelle imprese informatiche californiane che, poco più di un anno fa, ha lasciato la Sap, gigante europeo del software, per inseguire il suo sogno: creare un’infrastruttura di distribuzione dell’energia che consenta di fare con l’auto elettrica quello che avviene oggi coi telefonini, con le società di telecomunicazione che non vendono l’apparecchio, ma il servizio e la relativa ricarica. Insomma l’«auto gratis»: un altro esempio di cessione di un prodotto industriale a titolo gratuito perché il fornitore guadagna poi sulla gestione del servizio. Il progetto di Agassi, tutto basato su tecnologie già disponibili, aveva bisogno di grandi intelligenze tecniche e imprenditoriali, di molti soldi per finanziare la rete infrastrutturale, di qualche governo disposto a favorire la sperimentazione del nuovo sistema su tutto il suo territorio e di un’auto adatta.

    In pochi mesi Agassi ha convinto il governo di Israele (il presidente Shimon Peres crede ciecamente in lui), mentre anche la Danimarca sta pensando di scaricare l’elettricità prodotta dalle sue centrali eoliche nei veicoli della Better Place (letteralmente: un posto migliore), la società per il «trasporto verde» fondata dal giovane imprenditore (classe 1968). Poi Agassi ha messo insieme 200 milioni di dollari investiti nell’avventura da Idan Ofer, imprenditore dell’energia e dei trasporti, da due società di «venture capital» e dalla banca Morgan Stanley e ha trovato in Carlos Ghosn, il capo del gigante franco-giapponese dell’auto Renault-Nissan, un imprenditore che, per nulla convinto che il futuro dell’auto sia nei modelli ibridi (tipo Toyota Prius) o nell’etanolo di derivazione agricola, stava cercando qualcosa di diverso e innovativo. Ghosn ha promesso ad Agassi di portare entro il 2011 sul mercato una vettura elettrica adatta al suo sistema di distribuzione, ma già nel prossimo inverno 50 prototipi Renault circoleranno per le strade di Israele dove, nel frattempo, Better Place sta realizzando una rete di mille punti di rifornimento.

    L’impresa di Agassi è decollata anche perché l’idea che è alla sua base ha convinto finanziatori, governi, partner automobilisti ma anche molti ingegneri e manager che hanno lasciato posti sicuri (alcuni vengono dalla Sap, come Agassi) per tentare la nuova avventura senza nemmeno conoscere il «business plan» della società. Divenuto ormai una celebrità — per gli analisti di Deutsche Bank il suo sistema rivoluzionerà l’industria dell’auto e potrebbe portare addirittura all’estinzione del motore a benzina —, la rivista tecnologica Wired gli ha dedicato l’ultima copertina, nella Silicon Valley lo considerano un pioniere come loro, salvo che lui parte fin dall’inizio con investimenti giganteschi — Agassi affronta ora la sfida più dura: quella del mercato americano. Le sue missioni a Washington non hanno dato grandi frutti: i politici sono sensibili alle energie alternative che riducono la dipendenza Usa dal petrolio d’importazione, ma temono che la schiavitù della benzina sia sostituita da quella delle batterie, visto che l’America oggi non produce questo tipo di accumulatori. Ma il buco nell’acqua a livello federale è compensato dall’attenzione dei sindaci che vogliono sperimentare il nuovo sistema di distribuzione dell’elettricità per queste vetture «pulite» a New York, a San Francisco e in alcune città del Michigan.

    Fonte: www.corriere.it