Solidarietà a metano in Ucraina: destinazione Chernobyl (parte seconda)
05/01/2015 - guido.guerrini
Presso il villaggio di Leliv superiamo il secondo posto di controllo, quello che delimita il raggio di 10 km dal reattore esploso. Da qui in poi non abita più nessuno e tutte le città presenti sono state abbandonate il giorno successivo al disastro. Solo a due chilometri dall’epicentro i contatori tornano a rilevare rischi, non lungo la strada o le zone pavimentate, ma solo quando ci si sposta dall’asfalto verso il bosco nel piccolo paese di Kopachi.
Entriamo per pochi minuti in una zona ancora contaminata per visitare una scuola per l’infanzia dove tutto è rimasto come il giorno della grande evacuazione. Vedere giochi, libri e manifesti di propaganda sovietica ci regala emozioni contrastanti. Usciti da Kopachi, lungo il lago artificiale creato dal fiume Dnipro, incontriamo i reattori 5 e 6 che dopo l’incidente non sono mai stati completati. I due grandi camini in cemento armato sono la premessa al prossimo incontro, il reattore 4 ed il reattore 3, quest’ultimo assieme al numero 1 e 2 sono stati attivi fino all’anno 2000.
Ancora pochi minuti e veniamo portati a soli 270 metri dal “Mostro” che ci appare ingabbiato nel vecchio sarcofago di cemento costruito dai 600.000 “liquidatori”, gli eroi che con turni di 5 minuti hanno prima bloccato l’incendio del reattore per poi isolarlo sotto a metri cubi di cemento. Su quanti di loro si siano ammalati e poi morti le cifre ufficiali sono divergenti e oscillano tra soli 4.000 o addirittura 160.000.
A 270 metri dal reattore il livello di radiazioni che registriamo supera la normalità, ma può diventare pericoloso solo con una lunga permanenza, parliamo di ore se non giorni, in loco. Infatti poco distante da noi ci sono operai che lavorano sul nuovo gigantesco sarcofago che coprirà quello vecchio. Per evitare il rischio di contaminazione viene costruito a distanza di sicurezza ed una volta completato sarà posizionato con dei binari sopra quello esistente.
Dopo le foto di rito comincia la parte più singolare della giornata, ovvero la visita di Prypiat.
Nel frattempo il tempo è notevolmente migliorato, cosa positiva dato che in “città” ci muoveremo principalmente a piedi.
Come abbiamo già detto è una città di recente costruzione e concepita come città modello socialista. Oltre agli immancabili condominii ci sono enormi palazzi pubblici, tante scuole, impianti sportivi ed un luna park permanente. Si racconta che vivere qui era un privilegio perché era una delle città sovietiche più efficienti. Gli stipendi erano buoni e tutto scorreva sereno e tranquillo fino alla maledetta notte di aprile e fino al pomeriggio del giorno successivo, quando fu organizzata l’evacuazione di Prypiat. Bus e mezzi militari portarono lontano da qui oltre 30.000 abitanti, mentre in buona parte della Polissia, la regione dove ci troviamo, oltre centomila.
Fu detto a tutti che l’allontanamento era temporaneo e di prendere lo stretto necessario. Ecco perché oggi visitando Prypiat si trova ancora molte cose abbandonate in fretta quel pomeriggio e in ogni suo angolo appare come una città fantasma riconquistata dalla vegetazione della foresta circostante.
Per molti il luogo più “affascinante” è la zona del luna park dove si può vedere le principali giostre arrugginite per l’incuria di questi quasi 30 anni. Altri sono colpiti dalla piscina pubblica e dalla palestra adiacente, ma anche la normalità dei molti palazzi abbandonati ha tante storie da raccontare. Saliamo nel più alto, sopra il quindicesimo piano, ovviamente senza ascensore. Si ha modo di vedere tanti pezzi di vita e quotidianità nei vari appartamenti che incontriamo salendo le scale. Letti, cucine, divani e addirittura pianoforti, carta da parati e disegni attaccati al muro, tutti gli oggetti che potevano creare distinzione in stanze altrimenti tutte uguali da Kiev a Vladivostok. Anche il panorama dalla sommità lascia senza parole, grazie al bel tempo riusciamo a vedere ben oltre il confine bielorusso.
La città è racchiusa da filo spinato e presidiata dall’esercito per evitare furti di materiali o atti di vandalismo. Immediatamente dopo il disastro la città fu decontaminata con l’uso di agenti chimici adatti a questo tipo di emergenze. Il risultato, può sembrare incredibile, è che in buona parte della città i contatori geiger non superano i livelli di sicurezza. Solo avvicinandosi al bosco o ai giardini il bip si fa frequente.
Tornando verso Chernobyl si attraversa la cosiddetta “foresta rossa”, un luogo a ridosso della centrale nucleare, dove l’esplosione riversò parte del materiale radioattivo.
Attorno a metà degli anni ’90 cambio in rosso il colore delle foglie degli alberi. Oggi è tornata agli antichi splendori se non per il fatto che nei prossimi 20.000 anni il livello delle radiazioni rimarrà sopra la normalità. Stessa sorte per tutto ciò che è rimasto dentro al sarcofago del reattore numero 4.
Gli ultimi impegni di giornata prima di tornare a Kiev prevedono l’esame della nostra radioattività ai due punti di controllo. In quello di Leliv ci vengono controllate “solo” le radiazioni beta senza che nessuno venga trattenuto per docce chimiche o addirittura in quarantena.
Tra i due controlli c’è tempo per il pranzo, compreso nel prezzo, che risulta essere pure buono ed abbondante. Unico neo è la velocità con cui ci viene fatto ingurgitare il tutto nel piccolo ed unico punto di ristoro del paesino dei Chernobyl, ma fortunatamente ci viene anche garantito che carni e verdure che ci hanno servito non sono a chilometro zero. Nonostante la pancia piena superiamo senza difficoltà anche il secondo controllo presso Dytyatky.
Stavolta l’esame è più complesso visto che ci vengono controllati tutti i tipi di radiazioni possibili.
Il nostro strumento geiger oltre che segnalare in tempo reale il livello di radiottività presente dove ci troviamo, fa anche da contatore complessivo della radioattività assorbita nell’intera giornata. Finiamo l’odierna escursione guardando un video che compara i diversi tipi di radiazioni alle quali ognuno di noi è sottoposto nella vita quotidiana. Nel nostro caso il livello di radiazioni che abbiamo accumulato è comunque inferiore a quello che un passeggero di Kiev diretto a Toronto assorbirebbe in un volo aereo.
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