In Russia con il Diesel-Metano: l’arrivo a Volgograd

19/12/2013 - guido.guerrini

    L’ultimo risveglio in Ucraina è di quelli difficili. Siccome perderemo due ore di fuso orario passando la frontiera, decidiamo di anticipare la partenza per non subire passivamente la perdita di due importanti ore di viaggio. È curioso passare da un’ora di anticipo rispetto all’Italia alle tre ore che avremo stasera. Fino a poco tempo fa le ore erano due, ma una delle recenti riforme di Putin ha previsto la soppressione dell’ora solare e l’accorpamento dei fusi orari che da 11 scendono a 6. Questo comporta che da una zona all’altra della Russia l’orario cambia di due ore alla volta. Per alcuni aspetti è una riforma interessante visto che semplifica la vita di coloro che vivono in vaste aree della Russia, ma come controindicazione ha il fatto che in ogni confine di fuso orario il salto orario è significativo.
     

    Usciamo dalla laboriosa e trafficata Lugansk senza incontrare grossi problemi. Ovviamo alla carenza di cartellonistica orientandoci verso un’accecante alba che ci guida verso est. Invece a Krasnodon la cartellonistica c’è, ma delle due è ingannevole: per farci evitare il centro cittadino ci spinge verso stradine periferiche completamente gelate, dove sperimentiamo la prima leggera scivolata su ghiaccio del nostro lungo Daily. La gita attorno al paese prosegue con un paradossale tour attorno ai “terrakony” delle miniere di Krasnodon. Sono le uniche asperità che rendono meno noiosi i piatti panorami locali. Come ci è capitato più volte in passato osservare, il terrakon è davvero interessante: si tratta di montagne, solitamente a forma di cono vulcanico, composte della terra estratta dalle miniere che a seconda di stagione, riflessi del sole e vegetazione, riescono ad assumere colorazioni cangianti.

    Recuperiamo la strada principale calcolando in almeno mezz’ora il tempo perso. Gli ultimi chilometri di Ucraina sono senza dubbio i peggiori, con strada gelata e ricca di buche. Arriva finalmente il momento della dogana che più temiamo, quella di Izvarine-Donec’k, che ben conosciamo per esserci passati altre volte. Le operazioni sul lato ucraino si ultimano in appena venti minuti. Passiamo alla Russia, dove solitamente la burocrazia regna sovrana, e anche quando tutto fila liscio le attese non sono brevi. Dopo la compilazione delle carte di immigrazione e l’ammissione in dogana si passa al controllo passaporto, dove la bionda e carinissima funzionaria, della quale segnaliamo un convincente smalto blu, alterna sorrisi a perplessità sulle differenze tra il visto di Emanuele (scopi umanitari) e quello di Guido e Giacomo (turistico). Nel frattempo il conducente designato, in questo caso Guido, affronta le problematiche relative al furgone cominciando dall’ispezione del carico. Vestiti, cibi, vini, il tutto viene da noi spacciato per regali di Natale e Capodanno onde evitare domande sui motivi umanitari del viaggio e sulla destinazione finale degli aiuti. Dubbi nascono anche dal fatto che il veicolo dell’azienda Piccini viene portato in Russia da soggetti che apparentemente fanno turismo. Per fortuna i dubbi non si trasformano in ennesime problematiche. L’ultima perla viene da un baffuto doganiere che ci chiede degli euro in moneta per la sua collezione numismatica. In un primo momento pensiamo al ritorno di moda della corruzione, invece il nostro amico seleziona con cura le monetine che gli mancano lasciandoci tutte le altre.

    Eccoci finalmente in Russia dopo altre due ore (senza contare le due di fuso orario), ma ancora senza aver completato le formalità, ovvero la copertura assicurativa. L’ufficio al di fuori della frontiera è gestito da tre ragazze all’interno di un prefabbricato nel quale veniamo ospitati. Sediamo in un letto e assistiamo alla compilazione dei moduli che ci riguardano. Cinquanta euro completano il percorso. Le tre assicuratrici riescono a rifilare al conducente designato anche un’ulteriore assicurazione medica probabilmente inutile.

    Conquistati dei rubli nella banca più vicina ed effettuata una lunga sosta ad un passaggio a livello dove transita un treno merci con ben quattro locomotori, siamo lungo la M-21, la lunga strada che ci condurrà a Volgograd. Prima di affrontare gli ultimi 300 chilometri ci concediamo un pranzetto a base di plov e pel’meni.

    La M-21 è molto buona e di facile percorrenza nei mesi caldi, ma d’inverno è un nastro d’asfalto nel bel mezzo della steppa dove è facile che il vento porti la neve al centro della strada. Alterniamo momenti di veloce percorrenza ad altri dove la cautela deve essere massima soprattutto perché, volendo arrivare al traguardo finale, viaggiamo almeno due ore con il buio e quindi con il ghiaccio.

    Emozionante, nonostante l’oscurità, è il consueto passaggio da Kalač-na-Donu con il ponte sul fiume Don e tutti i ricordi che si porta dietro soprattutto per noi italiani.

    A meno di cento chilometri da Volgograd ci prendiamo un grande spavento quando ci troviamo al centro della strada un insolito cumulo di neve. In realtà si tratta della linea di separazione tra due corsie, una di marcia ed una di svolta, ma dove gli spazzaneve hanno lasciato i residui del loro lavoro. Ecco quindi che, impossibilitati a cambiare direzione a causa di altre auto, finiamo dritti nel cumulo bianco. L’unico correttivo che riusciamo ad applicare è rallentare la corsa del Daily poi definitivamente fermato, in modo soffice, dalla neve. Apparentemente le ruote non fanno presa nel manto nevoso e fatichiamo non poco ad uscirne combinando molte retromarce a piccoli avanzamenti. Riprendiamo il cammino e forti dell’insolita esperienza raddoppiamo la prudenza.

    Alle 21,15 minuti dell’ora di Mosca (le 18,15 in Italia) siamo all’ingresso di Volgograd. Nonostante l’oscurità ci concediamo lo sfizio della foto con la storica insegna che porta i tre nomi di questo luogo: Caricin (Tsaritsin), Stalingrado e infine Volgograd, come la città si chiama dal 1961. Torneremo nei prossimi giorni a glorificare il nostro veicolo con delle foto diurne.

    Se le strade cittadine principali sono state ripulite dalle grandi nevicate dei giorni scorsi, lo stesso non si può dire per le stradine del quartiere tzigano dove è ubicata la sede della Comunità Giovanni XXIII. Galleggiando tra la neve, e faticando per l’ultima volta in questo lungo giorno, raggiungiamo la destinazione, e troviamo ad aspettarci Marco, Ruslan, Jura, il tedesco Jonas e il fido cane Dik. Finalmente svuotiamo il Daily e saturiamo dispensa e magazzino del luogo dove saremo ospitati. Nei prossimi giorni, quelli più prossimi al Natale, i materiali saranno distribuiti ai senzatetto che la comunità segue.

    La giornata conclusiva dell’ultimo giorno del viaggio di andata si chiude con un cenone a base di pel’meni e vino italiano, accompagnato dai racconti di Marco che ci aggiorna sulle novità che caratterizzano la vita della città.