Sfida verde alla Casa Bianca
01/12/2008 - Nicola Ventura
Un New Deal verde; 150 miliardi di dollari di investimenti in dieci anni; cinque milioni di posti di lavoro… Chi non lo ricorda? Erano le promesse pre-elettorali di Barack Obama, e molti le consideravano solo un libro dei sogni. Ma, poche settimane dopo le elezioni, lo staff del presidente eletto rilancia il messaggio ambientalista, precisando le ricette per trasformare gli Stati Uniti in una ‘Low-Carbon Economy’, un’economia a basse emissioni di carbonio. Si tratta dello stesso slogan adottato dalle Nazioni Unite, e questo conferma la radicalità del clan Obama sul tema ecologico. A rilanciare la strategia ambientale della nuova Casa Bianca è il Center for American Progress, un think tank democratico guidato da due personaggi chiave dell’entourage del nuovo presidente: John Podesta, il capo del team che nelle ultime settimane ha selezionato le nomine per la nuova amministrazione, e Melody Barnes, che è appena stata nominata alla testa del Consiglio per la politica interna della futura amministrazione.
Improvvisamente l’ambiente è in prima fila nella politica americana. Nel mezzo della più grande crisi economica dal 1929, la luce in fondo al tunnel è la nuova economia verde promessa da Obama. E dopo otto anni di Bush si stenta a crederlo. Dall’inizio del 2001 a oggi, in nome del libero mercato, la Casa Bianca ha cancellato la parola ecologia dalla politica federale, ha più volte spinto i funzionari del ministero dell’Ambiente a censurare i dati negativi che emergevano dalle ricerche pubbliche e ha posto il veto su un lungo elenco di iniziative degli Stati, per esempio quella per aumentare gli standard sulle emissioni delle automobili votata dalla California di Arnold Schwarzenegger. Ma con l’elezione di Obama l’aria è cambiata nella capitale. E la crisi dei tre colossi dell’auto di Detroit è il primo banco di prova della sua politica. I tre presidenti , Rick Wagoner della General Motors, Robert Nardelli della Chrysler e Alan Mulally della Ford, si sono presentati a Washington con il cappello in mano per convincere il Congresso che la strada del risanamento è già stata imboccata e il miraggio dell’auto del XXI secolo, pulita e a basso consumo, è dietro l’angolo. In ballo ci sono 250 miliardi di dollari di finanziamenti, un’immensa iniezione di denaro pubblico per trasformare i tre dinosauri di Detroit in aziende verdi, salvandole dalla bancarotta.
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Fiutando i venti del cambiamento, i capi delle tre grandi mettono l’accento sulla svolta verde delle loro aziende. Rick Wagoner sostiene che l’anno della svolta sarà il 2010, quando dalle linee produttive della General Motors uscirà la Chevrolet Volt: “Non una macchina, ma una visione del futuro”, recita il marketing aziendale. La Volt è descritta come una vettura ibrida di nuova generazione, con un’autonomia elettrica di 65 chilometri, che salgono a mille usando il motore a benzina per ricaricare la batteria esaurita. I critici dicono che il suo prezzo di listino, 40 mila dollari, è eccessivo per conquistare il mercato di massa. Ma gli ottimisti sostengono che gli investimenti pubblici nella ricerca consentiranno ai prezzi di scendere rapidamente. Anche la Ford ha annunciato una nuova linea di motori, battezzati Ecoboost, che consentiranno risparmi di carburante del 20 per cento ed entreranno in produzione tra un anno. Ma per accelerare questa riconversione all’economia verde l’industria Usa ha bisogno dei soldi di Obama. “Le tecnologie critiche sono già state inventate”, dice David Cole, uno dei più ascoltati analisti di Detroit: “La prima è la batteria al litio, che consente la produzione commerciale di auto elettriche ibride. La seconda è costituita dai biocarburanti alla cellulosa. Siamo alle soglie di una svolta tecnologica che può far decollare un nuovo modello di sviluppo”.
Il New Deal ambientale del presidente eletto prevede precisi obiettivi da raggiungere nei prossimi 10-15 anni: entro il 2015 produrre un milione di auto elettriche-ibride, in grado di fare 50 chilometri con un litro; entro il 2012 portare al 10 per cento (e al 25 per cento nel 2025) la quota di energia elettrica prodotta con tecnologie pulite; entro il 2018 azzerare le importazioni di petrolio dal Medio Oriente e dal Venezuela, grazie a una strategia che combina risparmio energetico e crescita delle fonti rinnovabili.
Fonte: http://espresso.repubblica.it