Covid-19 e particolato: esiste un collegamento?
21/03/2020 - redazione
In questi giorni è circolata una nota, a firma di alcuni ricercatori italiani, e diversi altri documenti sul web, che riportano una presunta associazione tra inquinamento da particolato atmosferico (PM) e diffusione del COVID 19. Questa ipotesi ha avuto un’ampia eco sui media e sui social e ha suscitato molto interesse, ponendo l’attenzione su una questione scientifica rilevante su cui lavorano moltissimi ricercatori in Italia ed all’estero. Considerazioni simili sono oggetto di discussione e diffusione nei social media.
La Società Italiana di Aerosol (IAS), fondata nel 2008 e membro della European Aerosol Assembly (EAA), annovera tra i suoi soci circa 150 ricercatori esperti sulle problematiche del particolato atmosferico provenienti da Università, Enti di Ricerca, Agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale e dal settore privato. In questa occasione, la IAS intende esprimere un parere sulle attuali conoscenze relative all’interazione tra livelli di inquinamento da PM e la diffusione del COVID 19. Queste conoscenze sono ancora molto limitate e ciò impone di utilizzare la massima cautela nell’interpretazione dei dati disponibili.
E’ noto che l’esposizione, più o meno prolungata, ad alte concentrazioni di PM aumenta la suscettibilità a malattie respiratorie croniche e cardiovascolari e che questa condizione può peggiorare la situazione sanitaria dei contagiati. Queste alte concentrazioni sono frequentemente osservate nel nord Italia, soprattutto nella pianura Padana, durante il periodo invernale. Tuttavia, ad ora non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio al COVID-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche.
E’ stato inoltre ipotizzato che il particolato atmosferico possa agire come substrato “carrier” per il trasporto del virus aumentando così il ritmo del contagio. Questo aspetto non è però confermato dalle conoscenze attualmente a disposizione, così come non sono ancora del tutto noti il tempo di vita del virus sulle superfici ed i fattori che lo influenzano. E’ possibile che alcune condizioni meteorologiche, tipicamente presenti nel nord Italia in questo periodo, quali la bassa temperatura e l’elevata umidità atmosferica, possano creare un ambiente che favorisce la sopravvivenza del virus. Queste condizioni che, in genere, coincidono con una situazione di stabilità atmosferica intensa, favoriscono la formazione di particolato secondario e l’incremento della concentrazione del PM in prossimità del suolo. La covarianza fra condizioni di scarsa circolazione atmosferica, formazione di aerosol secondario, accumulo di PM in prossimità del suolo e diffusione del virus non deve, tuttavia, essere scambiata per un rapporto di causa-effetto. Nel caso di sistemi complessi come quello con cui abbiamo a che fare, l’interpretazione delle correlazioni semplici (cioè quella tra due serie temporali) non indica necessariamente un rapporto causa-effetto.
Allo stesso modo, si deve porre molta cautela, ad esempio, nel confrontare dati e trend provenienti da aree geografiche diverse del Paese e nel mescolare situazioni in cui esiste un focolaio con situazioni in cui il focolaio non è presente ed in cui sono state prese misure di contenimento diverse in tempi diversi. Il periodo di monitoraggio disponibile per l’indagine epidemiologica è ancora troppo limitato per trarre conclusioni scientificamente solide in relazione ai moltissimi fattori che influenzano il tasso di crescita del contagio.
Il Presidente, il Consiglio Direttivo della IAS e tutti i Soci firmatari sono unanimi nel valutare come parziale e prematura l’affermazione che esista un rapporto diretto tra numero di superamenti dei livelli di soglia del PM e contagi da COVID-19, e nel ritenere che un eventuale effetto dell’inquinamento da PM sul contagio da COVID-19 rimanga – allo stato attuale delle conoscenze – una ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese ed approfondite. Nello stesso modo, si ritiene che la proposta di misure restrittive di contenimento dell’inquinamento come mezzo per combattere il contagio sia, allo stato attuale delle conoscenze, ingiustificata, anche se è indubbio che la riduzione delle emissioni antropiche, se mantenuta per lungo periodo, abbia effetti benefici sulla qualità dell’aria e sul clima e quindi sulla salute generale.
Chi è la Società Italiana Aerosol?
L’associazione raccoglie ricercatori, professionisti, studenti che per passione, interesse, lavoro si occupano di aerosol atmosferico e che credono che lo scambio di informazioni ed esperienze sia uno strumento di crescita individuale e professionale, oltre che occasione necessaria per il progresso della comunità scientifica. Siamo inoltre convinti che affrontare un problema così complesso, con rilevanti aspetti scientifici, tecnologici, sanitari ed ambientali (e quindi anche economici e sociali) richieda il contributo di competenze diverse che rappresentino “tutte le anime presenti nel mondo del particolato”